Antonio Carradore – 2013

A cura del Prof. Antonio Carradore – Villa Mattarello ArzignanoFebbraio 2013

Filosofi                  
Non la teoria ma l’attività: è questa la vera essenza della dottrina orientale oltre che dello spirito della filosofia, non mera speculazione ma messa in pratica di quella forma di pensiero. La scelta di inserire quale motivo guida dell’esposizione quello dei “ Filosofi” segna per Scolaro la ripresa di un tema già sviluppato in ambito scultoreo, con installazioni apprezzate da critica e pubblico negli ultimi anni. E questi volti dipinti di profilo, queste teste che sprigionano impalcature di pensiero – quasi dei busti di filosofi dell’antichità classica sagomati in una cornice postmoderna – alludono a quell’insieme di grovigli e labirinti che costituiscono la nostra personalità.
L’artista può ora innestare alla personale e riconoscibile cifra stilistica un’accorta riflessione su tematiche e spunti di ragionamento sapientemente enucleati.
A cominciare dal tempo, un po’ gioco un po’ orologio, costituito da momenti impercettibilmente successivi secondo un flusso non cosciente che ha valore psicologico.
E poi l’ultima religiosità di Scolaro, che si muta in una sentita ricerca su sacro e profano, trasversale e allargata ad accogliere perfino dogmi ideologici e politici sani che un tempo non lontano vibravano negli animi, oggi svuotati nell’inguardabile Italia contemporanea. M a il sacro di Scolaro è anche il vivere il dramma della fede ancora a tinte filosofiche, come il Pietro sospeso e interrogante ai pedi della croce o le erme socratiche di Cristo e Pilato, ad affrontarsi in un incontro con numeri e due mani che si tendono ma non si toccano, quasi ad inscenare quel loro straordinario dialogo tutto giocato sulla sottrazione.“ Che cos’è la verità?” chiede il procuratore romano. “ Che cos’è la verità” sembra chiedersi lo stesso Scolaro se non un pensiero che arriva a fondere simboli da Oriente a Occidente, grazie anche ad un colore vibrante di segrete palpitazioni, quasi improvvisate a ritmo di musica jazz. Un pensiero che pare addirittura accendersi come sovrapposizione di luci sotto forma di concetti. Con ben presenti i modelli di Kandinsky e Mirò o ricordandosi della lezione di tutta la nobile tradizione della pittura italiana del Novecento. Naturalmente – e giustamente- risolta a modo suo e consona al contenuto e al messaggio che l’artista vuole chiarire. Accostarsi ad un’opera di Domenico Scolaro significa in fondo assistere ad una rappresentazione di ciò che resta della nostra identità mancata, allestita in quel palcoscenico a tratti indecifrabile che è la vita. E questa sua particolarissima estetica per contrasto aiuta ad esorcizzare l’insondabile mistero della nostra umanità negata. Salvatore Maugeri, riferendosi proprio a Scolaro, parlava di “ una sua concezione del dolore come incentivo per un arricchimento interiore” , e l’affinità con lo spirito buddista è fortissima sempre nella produzione di Scolaro.
E la via – non solo orientale – che conduce alla felicità è ancora una volta veicolata dall’occhio, insistente quanto ambigua presenza fra le sue creazioni, e in un paio qui in particolare, in cui l’occhio vero è caduto all’interno dello spazio pittorico, tra altrettanti simboli e in una visione generale che da conflittuale va via via rasserenandosi grazie alla vibrazione e alla palpitazione di quelle luci e di quei colori. Insomma l’esperienza si è fatta surreale perché tutta tesa ad abolire il suo visivo a favore dell’interiorità. Con ciò trovandosi e riconoscendosi completamente dentro la contemporaneità.
Febbraio 2013 Villa Mattarello
Antonio Carradore