Barbara Bortot – aprile 2020

A cura della Prof. ssa Barbara Bortot – Belluno (BL)

RIFLETTENDO SULLA NUOVA OPERA DI DOMENICO SCOLARO

Chissà perché se penso all’arte di Domenico Scolaro, seppur così vasta e composita, la condenso in un’unica immagine: una barca. Non a caso nel suo recente lavoro “Pandemia”, elemento catalizzatore da cui avvio l’osservazione e l’analisi di tutta l’opera è la forma monumentale posta al centro. Questo simbolo sepolcrale, composto da numerosissime lettere bruciate, spicca, come la prua di una nave, ben alta sulle onde della vita. Muovendo da esso lo sguardo sale, elevandosi e perdendosi verso il cielo, sale lungo due fili disegnati con la linea curva quasi a voler produrre un effetto di calma. Sono i fili sottili della solitudine e della sofferenza che legano chi se ne è andato ai propri cari, alle persone che si sono potute stringere a loro in una vicinanza puramente spirituale. Attraverso l’incisione e segni che hanno l’essenza del graffio, il processo di astrazione in Scolaro diventa conquista di una spazialità interiore: la profondità pittorica soccombe alla profondità emotiva. Tutto è impulso psichico, è pura espressione di esigenze interiori. Ne consegue un caricamento di contenuti e una sorta di bilanciamento tra ciò che è stato, il presente sospeso, ferito, segnato dalla spessa striscia rossa sulla quale si è arenato, e l’attuazione del cambiamento.
Se come affermava Picasso “la pittura è solo un modo di tenere un diario”, anche Scolaro, alla data 19 aprile, racconta uno dei momenti più forti del nostro tempo.
Non lo dipinge però per fermarlo in un hic et nunc universale, ma ne coglie i rapporti molteplici con l’esistenza umana, trasponendoli e sviluppandoli secondo una logica originale. La drammatica realtà che il mondo sta vivendo acquisisce nuova sostanza, ricercando la luce. Forse attraverso quel piccolo occhio (della ragione) incorniciato dai fili della speranza e di nuove consapevolezze?