A cura del Prof.ssa Laura Piazza – marzo 1991
“INCANTI E DISINCANTI“
In Domenico Scolaro
La mia conoscenza di Domenico Scolaro risale ad una decina di anni fa. Il riflesso della sua personalità originale, fatta di entusiasmi improvvisi e di subitanee commozioni, era tutto raccolto nell’afflatto acceso e malinconico delle sue opere. Facendosi portavoce delle ansie dell’uomo contemporaneo, chiuso nei suoi insanabili conflitti esistenziali, denunciava con sgomento il male oscuro del vivere, un male tanto sottile quanto lacerante.
Il tramonto dei valori tradizionali, il piatto conformismo cui una società abulica ed apatica costringe i suoi membri, erano lo scenario entro il quale si consumava il dramma di un uomo svilito ed avulso.
I soggetti dei dipinti di Scolaro vivevano dunque nel cieco baratro della propria tragica solitudine. Della figura umana rimanevano soltanto i tratti anatomici, confini angusti di una vitalità repressa, imbrigliata da fasce estremamente eloquenti, da bianche bende che tentavano di aggiustare i brandelli di quella specie d’uomo frantumato e schiacciato da tanto cupo soffrire.
Era il silenzio ad avvolgere quei dipinti poiché non c’era voce capace di esprimere l’ineffabile condizione di chi avverte un dolore metafisico. Con il passare degli anni però, il discorso pittorico di Scolaro ha assunto via via toni più smorzati e le esasperazioni delle forme e dei colori si sono placate. Tuttavia sopravvive, nelle opere attuali, la volontà di dar vita ad immagini ricorrenti ed emblematiche,; ecco allora raffigurato il solo occhio semiaperto di colui che, rifiutando l’impatto con ciò che gli sta attorno, preferisce non vedere, ma quegli occhi singoli e spalancati sul mondo dicono anche che ora l’uomo esce dal suo isolamento per guardare, magari con cinismo, magari con rabbia, la realtà dalla quale troppe volte è fuggito.
Il graduale, tormento risanamento della creatura umana è testimoniato dagli insoliti toni di luce collocati addirittura nelle zone che dovrebbero essere d’ombra.
Il valore allusivo è profondo poiché denota l’interiore convinzione che a volte, in fondo all’ abisso delle proprie angosce, si possono ancora attingere vita e speranza.
Anche il soggetto delle piramidi, non nuovo nella pittura di Scolaro, è ora trasformato. Si tratta di forme palpitanti di luce in cui è ricercato un rapporto quasi divino. Accanto a questi nuovi modi di porsi verso la vita, emerge pure il desiderio di fantasticare e di creare una dimensione trasognata.
E’ appunto il tema del fantastico quello che si trova rappresentato in un gioco di macchie e di segni senza regole, lasciato alla libera interpretazione soggettiva.
L’attuale linguaggio pittorico di Scolaro, se da un lato si configura come lucida protesta della coscienza contro i mali del nostro tempo, dall’altro diviene profondo richiamo ai valori imprescindibili della solidarietà, del dialogo e dell’amore di cui l’uomo ha più che mai bisogno per ritrovare la propria autentica dimensione ed appagare la propria ansia di eterno.