A cura del critico d’arte Mauro Fantinato – Sant’Eulalia, 26-6-2019
Domenico Scolaro. Viaggio, in verità.
Per Domenico Scolaro la vita presuppone la ricerca della sua verità. Un continuo ingaggio dell’uomo con il transeunte dell’esistere che, di volta in volta, lo fronteggia, gli espone squarci remoti, lo sollecita a motivi diversi, in profondità inaspettate, per soluzioni alternative e significati reconditi. Si dipana, così, un viaggio verso il riconoscimento del sé, una gnòthi seautòn, alla quale l’uomo Scolaro deve corrispondere con una volontà d’artista per l’ottenimento di un linguaggio personale, proprio, peculiare. In questo senso deve intendersi lo sforzo emulativo verso e dai maestri con cui è entrato in contatto. Il cromatismo alla Dinetto, la grazia costruttiva del colore di Gianquinto, l’onirico di Zotti, l’alfabeto celibertiano, la semplicità concreta della Transavanguardia interagiscono con il pensiero e la parola dei letterati e dei critici, su tutti l’indimenticato Maugeri. Accostandosi, facendoseli compagni di viaggio, Scolaro non si appropria pedissequamente della loro lezione ma ne discute e condivide scelte formali e preformali. Sotto questo profilo la serie intitolata “Le barche” ne concretizza il concetto poetico. Kibernetes della propria barca/anima, Scolaro si identifica negli strumenti del suo mestiere mentre esplorai mari della storia e dell’arte e mentre, intanto, l’orientale equipollenza tra utensili e artista aggalla secondo ritmi di mistero e rito. Arte e vita, dunque, si assimilano. Scolaro è un romantico e la sua arte aggancia peculiarità romantiche. In primis, fa emergere la valorizzazione della manualità nella materia. “Non esiste materia umile, solo materia non ascoltata” recita un suo motto. Quasi ruskinianamente, Scolaro ci insegna che il vero artista si muove, pensa, risolve come un artigiano con la sua materia, di modo che il manufatto appare, creativa ed ispirata, la restituzione congeniale (ed il termine va inteso in senso etimologico) della natura stessa, della quale esso risulta estensione vitale. In secundis, il riandare alle funzioni stesse della materia rilancia la riscoperta di un passato arcaico, tribale, etnograficamente atavico. I “cavalli” e le “figure eteree”, a prescindere dalle atmosfere alla Giacometti che pur incidono, se citano la biografia dell’artista da fanciullo (altro tema caro al Romanticismo) si innalzano, comunque, su arti surreali, in dimensioni primordiali, per vie sacre, lungo scie divine, sfiorando metafisiche ancestrali. oniriche ma ugualmente avite, anche le maschere sommuovono territori primitivi e totemici, grazie ad una serialità, identica ed identitaria, bianca su sfondo bianco. E allora l’arte, così concepita, quando ha la mano “sporca” della materia e, al contempo, scava e scava nell’interiore della natura, non si risolve più esclusivamente in un autoreferenziale gioco estetico. Non è “art pour l’art” ma arte d’impegno civile e morale. Funge da viatico per il miglioramento della condizione umana. Tra le pieghe del malessere essa risale il fine per guadagnare di quel Bene cui aspira e che unisce l’universo intero. La poetica di un’arte sincretica, ecco, quella di Scolaro! Proviene dai tanti luoghi visitati. Abbraccia culture diverse. Sposa religiosità anche divergenti. Coglie stimoli espressivi eterogenei. E si riafferma in quella categoria hegeliana, dell’ “arte religiosa”, per cui la religione/religiosità si fa ad un tempo arte e simbolo, nel senso pateriano di luogo sensibile, dove s’idealizza la materia e l’idea s’informa. Le installazioni, come ad esempio “Reattore 4”, nella raffinatezza dei mezzi, delle forme e dei materiali a richiamo dei principi di terra, acqua, fuoco e aria, citano eventi drammatici ma tracciano vie ecumeniche di salvezza. Ma anche il ciclo di opere “segni su segni”, in effetti, reifica un sincretismo di stratificazioni linguistico-culturali, transitanti la storia e lo spazio. S’intreccia un insieme narrativo di parole e le parole intrecciano lettere. La lettera, segnosimbolo. Interpreta altri segni referenti l’universo. Gli “alberi parlanti” cantano in un linguaggio all’unisono, naturale e culturale. Anche per sonorità visive, anche attraverso linee sinestetiche. E capiamo allora che l’uomo stesso è codice: sincretismo vivente, simbolo d’unità. Non in modo scontato né automatico si attua tale procedimento sincretico, perché esula da una deterministica somma di elementi. Un’accurata analisi delle caratteristiche tematiche ed una consapevolezza squisitamente tecnica si premettono al procedere artistico dall’esito armonico ed equilibrato. In questo, le tecniche si mescolano, si fondono e confondono i materiali. Pare bronzo ma l’anima è cartapesta. Il materiale viene migliorato, viene nobilitato, viene “ascoltato”. E Scolaro, da romantico, incarna la sua stessa opera. S’identifica nello spirito che l’ha generata. Si immedesima in un kunstwollen riegliano, se vogliamo, il cui valore dinamico si formalizza in uno stile consono allo scopo, al materiale e alla tecnica: arte per la vita quanto vita per l’arte. Nella ricerca della verità, l’uomo Scolaro ha trovato l’arte nella vita mentre l’artista Scolaro ha trovato la vita nell’arte.