A cura del Prof. Salvatore Maugeri – settembre 1991
” SIMBOLICHE”
In Domenico Scolaro
In vent’anni di attività pittorica di Domenico Scolaro si riscontra un concreto sviluppo di una tematica precisa. Non vi sono rotture, pentimenti o involuzioni, ma un approfondimento verificato, costante del perché, del fare e delle ragioni che lo muovono ad operare.
Inizialmente la sua pittura nasceva da premesse che definirei “parametafisiche” perché proprio metafisiche non erano, e non lo sono tuttora, nel senso stretto e rigoroso del termine.
Il contatto con l’Accademia di Belle Arti di Venezia ha segnato la sua fase formativa in una direzione vicina a quella del maestro di Accademia, Carmelo Zotti. Invece, l’attenzione di Scolaro verso quella pittura fu un episodio transitorio e irrilevante in quanto egli si scostava da certi moduli, anche se nella sostanza, il suo restava appunto un mondo di smarrimento e di stupore “metafisico” nel senso cioè che ogni cosa pone al di la dell’aspetto fisico delle cose. Anche l’accostamento con la pittura di Luigi Rincicotti non e che casuale e trova le sue diversificazioni nell’attuare modi frantumati più aperti, più mossi, più concitati rispetto a quelli che potevano essere sia a quelli del maestro Carmelo Zotti come dell’artista Luigi Rincicotti.
Tale autonomia nasce proprio dall’approfondimento dei temi che gli sono sempre appartenuti e che risultano meglio esplicati nella rappresentazione figurale, nella quale non vi sono simboli astratti, né sospensioni smarrite di fronte alla natura immobile. I suoi personaggi appaiono prigionieri, mortificati nella loro umanità; sono infatti avvolti in lenzuola, in nastri, in reti. E’ chiaro che questa loro prigionia alluda ai condizionamenti che la vita odierna impone, costringendo l’uomo a restare chiuso in sé, determinando l’inevitabile incomunicabilità.
Ecco allora svelato il senso più segreto della pittura di Scolaro, che non è dato dall’ arcano metafisico, ma connesso ai riscontri col sociale, con una realtà che urge e che desta allarme. Naturalmente c’è sempre un riferimento ed un ricorso alle allusività simboliche nella sua espressione; anziché scegliere come oggetto, un’asta, un segno, a volte soltanto un clima d’atmosfera inafferrabile, disumano, Domenico Scolaro ricorre sempre all’ umano, sempre al riconoscibile con tutti i riscontri nell’ allusività simbolica promossa sempre da un fine ultimo comune, la condanna cioè di ogni forma di violenza, la registrazione e il biasimo del pericolo che incombe sull’ uomo, la minaccia dell’incomunicabilità che rende l’uomo prigioniero di sé.
Si tratta di interrogativi sul destino che grava sull’ umano, sull’ esistente e sulla natura. In questo senso dunque è da guardare la pittura di Scolaro, generata dalla nervosità del gesto e da una comunicazione fervida e da un’urgenza del dire che non esclude le improvvise sospensioni e i silenzi pieni di interrogativi.
Questa è la temperatura e il clima della sua pittura, tali che riscattano da qualsiasi pericolo di rimanere nel limite delle riproposte naturalistiche.