Vincenzo Raimondi – 2007

A cura del Prof. Vincemzo Raimondi  – aprile 2007

LA RISTRUTTURAZIONE DEL PROPRIO CAMPO COGNITIVO
Se oggi mi trovo qui a parlarvi del lavoro di Domenico Scolaro è perché nel lontano 1978 ho scritto per il Giornale di Vicenza- allora ero laureando e facevo il corrispondente con le buste “fuori sacco” (altro che email)- di un suo presepe realizato con pezzi di carrozzerie di automobili. Per il Natale fu esposto nella chiesa di Villaggio Giardino. Allora si parlava di Arte Povera espressione che a me non è mai piaciuta perché fuoriante. Saranno stati anche poveri i materiali ma ricchi erano i risultati.
Prima di accettare l’incarico odierno innanzitutto ho voluto andare a rileggermi quel pezzo poi sono andato a godermi l’opera di cui andiamo ad occuparci.
A distanza di quasi trentanni, oggi come allora, ci troviamo, guarda caso, in presenza di statue ma, io preferisco chiamarle figure, immagini, di grandi dimensioni. Ovviamente diversi sono oggi i materiali (qua acciaio corten), diversi i contenuti rappresentati,differenti, ma non del tutto, le evocazioni che sanno, vogliono dare. Ho voluto sottolineare questa distanza temporale fra i due eventi perché, sia chiari a tutti, che le realizzazioni odierne non sono una estemporanea trovata di un pinco pallino qualsiasi. I viandanti posizionati alla destra del fiume Chiampo sono una tappa di un cammino artistico tanto lungo quanto sofferto. L’opera realizzata scaturisce da un percorso di vita, percorso che con le sue scelte e gli inevitabili sacrifici inizia da lontano. La prima personale di Domenico è del 1969 e in tutti questi anni non si può certo dire che sia rimasto fermo. I suoi piedi e i suoi occhi hanno conosciuto Africa e Russia per non parlare dell’Europa. Le sue mani molti materiali.
Ora la psicologia della gestalt ci ha insegnato che in fondo la creatività è solo la capacità di ristrutturare il proprio campo cognitivo ma bisogna averli gli elementi da ristrutturare. Bisogna cercarli e farli propri quindi saperli miscelare coi preesistenti che si annidano nei nostri animi. Essere artisti significa andare costantemente alla ricerca di nuovi stimoli, di nuovi elementi, di idee da miscelare con gli archetipi personali. Significa insomma studiare nella più ampia eccezione del termine. L’improvvisazione semplicemente non esiste c’è sempre bisogno di solide basi per ogni partenza, per ogni crescita, per spiccare il volo. Queste basi Scolaro le ha.
Domenico Scolaro, e col cognome che ha non potrebbe essere altrimenti, è stato uno studente diligente e quando inizia la sua carriera artistica lo fa rispettando tutti i canoni. L’opera il Cammino non a caso è dedicata ad un illustre maestro: il critico Salvatore Maugeri che molto ha inciso nella formazione del nostro autore ma anche di molti altri.
C’è però un ulteriore elemento, a mio avviso principe nella formazione di Domenico; l’anno 1968; l’anno del suo esordio. E’ stato quello un anno di cambiamenti in molti campi. E’ un anno in cui arriva, fra l’altro, l’onda lunga, partita dall’America, di un diverso modo di intendere l’arte perché, come diceva Allan Kaprow, alla logica delle forme, delle materie e dei colori in pittura a scultura si comincia a sostituire, non senza resistenze-aggiungo io-l’interesse per gli oggetti e per il contesto quotidiano.
Dice sempre Kaprow: “L’arte si indirizza ad inglobare l’ambiente così da diventare un procedere “totale” , dove le cose e le persone, assieme alla loro esistenza effimera e temporale sono soggetti d’indagine visale e plastica”.
Scolaro ha voluto chiamare la sua opera “Il Cammino”; se riflettiamo un attimo sulle parole di Kaprow sembrano scritte proprio per questo evento. Personalmente preferirei chiamare queste figure “I Viandanti”. I viaggiatori abbozzati nella loro rugginose sembianze travalicano qualsiasi problema di razza e religione. Si muovono in un contesto quotidianissimo quale solo un posteggio può essere. E cosa c’è di più effimero di una persona che posteggia la propria auto. Il tempo stesso del posteggio è effimero.
Kaprow parla di “procedere totale dove le cose e le persone sono soggetti d’indagine visuale e plastica”. Quest’opera è sinteticamente una plastic processione di persone e, perché no, di animali.
Il mio compito avrebbe dovuto essere quello di tracciare un profilo della sua produzione ormai quarantennale.
La cosa si è rilevata, ben presto, impresa inumana. Pittura, scultura, ceramica, fusioni, performance, mostre personali e collettive a destra e a manca. Poi lunedì mattina, scartabellando materiali, ecco che mi mostra un bozzetto pressoché definitivo realizzato per un manifesto. Io che avevo visto quello realizzato da altri e poi usato posso assicurarvi che quello di Domenico è di gran lunga superiore; è di un’efficienza straordinaria ma, così va il mondo.